Libri e Vulcani, una fonte
meravigliosa
E, allora, un giorno leggi di loro... Del fratello buono, spirituale e immacolato,
mosso dal bene e dalla carità, dal giusto, dalle virtù che conducono alla
Verità, alla Salvezza. E, poi, di quello passionale e autentico, un buon Karamazov
che, pur pervaso di umanità fino al midollo, mena un’esistenza dissoluta e
indecente quasi più del padre: tra bettole e sbornie, prostitute e canaglie,
sguazzando nell’edonismo e nel peccato, nel vizio e nella lussuria, nel male più
abietto che può indurre finanche al parricidio. E, poi, di quello che, gravato
dai peccati commessi dai genitori, cerca la salvezza nel razionale, sobbarcandosi
un fardello traboccante di assolutismi e ideologie da contrapporre al disegno
divino, alle credenze e alle superstizioni; sempre con audacia e ossessione, sino
allo stremo, al fatidico, tragico e irreversibile finale.
Rifletti e capisci che sono fatti della stessa carne e dello stesso sangue.
Facce della stessa medaglia, coniate con lo stesso metallo ma con stampi sempre
diversi; e, come tali, sono i mondi, gli habitat e le circostanze che ci
forgiano e ci rendono, appunto, irrimediabilmente diversi. Abbiamo vite diverse
e uniche. Come i ruoli che interpretiamo in cui siamo buoni e cattivi, belli e
brutti, forti e fragili, generosi e avari, razionali e irrazionali,
progressisti e reazionari. Siamo Inferno e Paradiso. Tutti. Chi più e chi meno.
Tutti, sempre, diversamente unici, irripetibili. Fatti degli stessi atomi
ma sempre unicamente diversi.
Perché così lo è la Natura, in tutte e ciascuna delle sue miriadi di forme
e manifestazioni.
E, così, diversi, sono anche tutti loro, i personaggi che popolano la
speciale galleria ritratta da Dostoevskij. Il Giocatore che getta in una
roulette soldi e aspirazioni. Lo studente indigente che priva una vecchia
usuraia del bene più prezioso, un Delitto che sconta con un Castigo inflitto dai
propri rimorsi e sensi di colpa. Il principe obbligato a un’esistenza da
Idiota, perché pervaso da bontà, semplicità e umiltà, qualità troppo elevate
per questo mondo cinico e perverso. E, così, a seguire tra Sosia e Demoni,
Ladri onesti e Povera gente...
Ah Russia, Russia! Terra di storia, storie e grandi scrittori.
Dostoevskij, certo, fu il più Grande. Ma che dire di Gogol, Bulgákov,
Tolstoj, Čechov, Pasternak, Nabokov? Di Margherita che scende a patti col
diavolo in persona per il suo Maestro; del Naso che, agghindatosi con una
divisa dorata e un cappello di piume, se ne va a zonzo per le prospekty di San Pietroburgo; di quel Cappotto,
segno di un’esistenza di fatiche e sacrifici, soffiato da un becero furfante,
come in un delirio; del Dottore stroncato da un infarto alla vista di Lara, unico
e vero amore ma anche colei che gli aveva fatto obliare moglie e obblighi familiari;
del meschino acquirente di Anime morte e, poi, di personaggi dal Cuore di Cane
o di Umiliati e Offesi.
In alto: San Pietroburgo con uno dei bracci della Neva.
In basso: l’Hermitage, uno dei più bei musei del mondo.
Personaggi tutti unici e diversi, unicamente diversi, ma che diventano parte
di te, del tuo immaginario, perché le loro condotte e i loro pensieri occupano ogni
angolo della tua mente.
Per sempre!
Sono lì, tra pagine che formano mattoni. Ma li divori e, dopo, ti rattristi…
Perché sai che sono rari e non sarà facile trovarne di così belli. E,
allora, inizi una ricerca spasmodica, quasi come la vita. E, abbandonata la gelida
Russia, terra di Guerra e Pace, ti trasferisci in Francia, Germania, Inghilterra
e Irlanda, Austria, Spagna, Portogallo, nella Grecia antica.
Rivivi amori romantici e passionali, drammi consumatisi nel più cupo
realismo. Finanche ti imbarchi in viaggi extraplanetari attraverso dimensioni
parallele. E, poi, rientri in Italia. E ti imbatti in Calvino. Un Cavaliere
Inesistente, un Visconte dimezzato o un Barone che vive sugli alberi. Visiti Eutropia
e le altre Città Invisibili. Città ideali e non. Metafore del nostro mondo… Dove
la campagna sta scomparendo, soppiantata da agglomerati urbani che, disarmonici,
divorano quotidianamente montagne di risorse, convertite in spazzatura e ammonticchiate
nei sobborghi, le dimore dei tanti, dei Marcovaldo, dei diseredati emigrati
dalla campagna ma, ormai, incapaci di riconoscere persino le stagioni, i più
elementari cicli della natura. Dove restano solo anonimi scudieri senza anima, vuoti
come le loro lucenti armature, come gli uomini nelle automobili, scintillanti
scatoloni di metallo che isolano e, inesorabilmente, condannano a un’esistenza desolata,
vacua e senza speranza. Dove non c’è più spazio per aspirare ad alti ideali, per
imprese con cui redimere le nostre colpe. Dove non c’è più posto per cavalieri
senza macchia e senza paura, per Don Chisciotte e Sancho Panza pronti a drizzare
la loro lancia persino contro mostri più alti e minacciosi dei Mulini della
Mancha. Dove non ci sono più Dulcinee da incantare con eroiche gesta e nobili imprese.
Eppure c’è bisogno… Di libri per sognare e crescere. Di Iliadi e Odissee, Itache
a cui approdare al termine di un lungo periplo colmo di vicende e conoscenze ma
anche ravvivato dal puro e intenso amore, come quello di Paolo e Francesca, quello
che far precipitare sulla barca di Caronte e, di lì, nei gironi dell’Inferno, tra
il Conte Ugolino e Ulisse. Di varcare le Tenebre che avvolgono il Cuore del continente
nero. Di vivere la Secolare solitudine e il realismo magico della famiglia
Buendía. Di analizzare le Metamorfosi degli uomini ma anche di Napoleon, il maiale che, dopo aver
guidato la vittoriosa Rivoluzione degli Animali di una Fattoria, presto
sottometterà i suoi simili trasformandosi in un dittatore perfino più feroce del
vecchio fattore. Di meditare ed elevarsi seguendo i passi di Siddhartha. Di rivivere
tragedie lontane secoli ma, paradossalmente, rese vive e immortali dal gesto
più estremo, il suicidio: di Otello, di Giulietta e Romeo. Di contemplare un
Ritratto, ombra di un seducente viso, sfigurarsi fino alla mostruosità perché riflesso
di un’anima macchiata da peccati sempre più orribili, un crescendo che
scandisci la vita di (quasi) tutti.
Leggi ancora e sogni. Una locanda affacciata su un mare che è Oceano e, in
balia delle sue onde e delle sue correnti, una zattera stipata di superstiti che
la fame snatura sino alla follia più feroce oppure le peripezie di un mercante francese
che percorre migliaia di chilometri, tra avventure e pericoli, fino al
Giappone, alla ricerca di qualcosa di più prezioso della Seta.
Ma, per il cammino, inciampi in un Alchimista e un’amica geniale, un cumulo
di banalità e scontata ordinarietà e, poi, in amori sdolcinati, saghe fantasy
e, massimo del minimo, in storielle di criminalità che diventano libri e, finanche,
bestseller, film e serie, buoni solo a ispirare baby gang. Tutta roba da
regalare a Natale, in confezione rosa chewing gum insieme a dozzinali panettoni
e spumanti che stipano le bancarelle. E, allora, ti deprimi. E, poi, ti accorgi
che ‘sta robaccia, surrogati di libri, sono i più. E seppelliscono i buoni, i pochi,
i rari.
Finché un giorno, un’amica del nuovo continente (A.P.) ti consiglia un
libro grande come un mattone, 700 pagine… Parla di Howard Roark. Un architetto.
Un vero architetto perché è un uomo libero e non scende a compromessi né con
politici né con imprenditori e neppure con i committenti. Perché egli crea e le
vere creazioni non possono essere modificate manco di una sola virgola.
Un principio granitico, come il cemento armato che gli è tanto caro ma che
si paga a caro pezzo. Verrà espulso dall’università e, finanche quando approderà
a NY, l’unica città del secolo scorso in grado di offrire un’opportunità a un
genio, per restare fedele ai propri principi finirà sul lastrico, a cavar
pietre in una miniera e, anche dopo, quando il suo genio brillerà
incontrastato, a difendere le sue idee sui banchi di un tribunale. Lui contro
il giudice, lui contro le leggi, lui contro tutti. Tutti, tranne lei, un amore
unico ma tormentato.
Dicevamo NY. Una metropoli, già un secolo fa. Un mondo a sé, perché,
nonostante banali cliché, è libera. “La mia città è New York” così diceva Italo
Calvino, non certo un liberista. “Perché”, continuava, “è la città più
semplice, almeno per me, più sintetica, una specie di prototipo di città: come
topografia, come aspetto visuale, come società”. Dunque, NY prototipo ma anche società.
Perché era ed è popolata da individui. Persone diverse per origini, ovvio, ma
anche per estrazione sociale e culturale, colore della pelle. Tutti unicamente diversi
ma accomunati dal bisogno di crescere, migliorarsi, non sperperare il proprio patrimonio
di energie e di risorse, il proprio Io, un tesoro! Come i tanti milioni di
italiani che hanno affrontato le alte onde dell’Atlantico pur di trovare quello
che in patria gli veniva negato: lavoro e dignità, crescita e futuro. Come i
nonni materni di Bill de Blasio: loro straccioni ed emigranti, lui alla guida
della capitale dell’Impero.
Altrove impossibile.
Ma dicevamo Roark. Un architetto, un creatore, come i veri scienziati e
artisti.
Da che mondo è mondo, essi, pur avendoci regalato idee e creazioni rivoluzionarie,
dovettero difenderle e scontrarsi con i contemporanei. Alcuni, come Galileo,
furono addirittura costretti ad abiurare, pena la morte. Ma altri, come
Caravaggio, non si piegarono mai al loro volere né tentarono di compiacerli.
Non fecero niente per far accettare la loro creazione, il loro regalo, perché
il loro unico traguardo era il loro lavoro, la loro creazione. Loro creavano
solo per se stessi, incuranti del parere altrui e con l’integrità come unica
bandiera. E fu ed è solo così, non subordinandosi a nessuno, che il loro dono,
le loro creazioni, sono alla base del nostro progresso. Loro, da soli. Loro
contro i contemporanei.
Loro creano per il progresso. I loro oppositori per sottomettere gli altri
uomini.
E, un secolo prima, disceso dalla montagna così aveva parlato Zarathustra:
“Il mondo gira intorno agli inventori di nuovi valori: gira invisibilmente. Ma
intorno ai commedianti s’aggira il popolo e la gloria: così è «il corso del mondo». Il commediante possiede lo spirito, non
la conoscenza dello spirito. Sempre egli crede a ciò con cui fa più persuasi
gli altri, -a ciò che spinge a credere in lui! Avrà domani una nuova fede e
un'altra dopodomani. Egli ha lo spirito pronto come il popolo, e variabile al
pari del tempo.”
Questi sono gli uomini. Questa è la loro Storia.
I grandi traguardi sono stati ottenuti da menti indipendenti. Tutti gli
orrori, le guerre e le distruzioni da chi dice di agire in nome e nell’interesse
della collettività.
Un conflitto antico come l’uomo. L’individualismo contro il collettivismo, la
massa uniforme e indistinta. Inutile e superflua, così sembra ritenerla il
protagonista de La Nausea, che nel bel mentre contempla un parco, pensa: “Ma
perché tante esistenze, visto che si rassomigliano tutte? A che pro tanti
alberi tutti simili? Tante esistenze mancate e ostinatamente ricominciate e di
nuovo mancate come gli sforzi maldestri di un insetto caduto sul dorso?”.
Un conflitto combattuto anche lì, a NY, New York. 5 città che sono una: Manhattan,
Bronx, Brooklyn, Queens, Staten Island.
Una metropoli, l’unico scenario possibile per Roark. Perché lì si elevano i
Grattacieli, indomiti, pronti a sfidare le leggi della gravità. Giganti sempre
diversi, opera, appunto, di grandi architetti. Con le loro Guglie, come la
Torre di Babele, hanno gareggiato per conquistare la vetta dei cieli. Con i
loro portali e le loro facciate, con le loro forme e i loro stili hanno concorso
in strabiliare. Meraviglie dell’Art Déco. Perle architettoniche come il Chrysler,
l’Empire e il Flatiron, il mio preferito.
In alto: il Chrysler.
In basso: i grattacieli del Ground Zero di NY, città di immigrazione e contrasti.
Splendido ammirali all’alba dal Central Park oppure al tramonto dal
Promenade di Brooklyn.
Grattacieli, Giganti.
Emergono oltre un braccio immobile di Oceano, l’Hudson. Affondano le loro
radici in un mare di cemento più duro dell’acciaio. Cemento che, in superficie,
Roark plasma in blocchi, squadrati e lisci, atemporali perché nulla concede
all’estetica e al gusto del momento. Cemento armato che è essenza. Pietra che
si innalza e sfida l’infinito.
Grattacieli, Giganti.
Giganti come i Vulcani.
I Vulcani. Unici come le loro esistenze. Unici come i fratelli Karamazov. A
volte buoni e spirituali; altre passionali e autentici; altre audaci e
ossessivi, sino al fatidico, tragico e irreversibile finale. Fatti di magma,
silicati fusi, ma sempre diversi.
Unici.
Inferno, quando devastano e stendono una spessa coltre di lava e ceneri
incandescenti.
Paradiso, quando, i loro prodotti disfacendosi rigenerano le terre e le
rendono più feraci che altrove.
I Vulcani come il Principe, da temere più che da amare. Individualisti
perché Natura allo stato puro; perché, come Roark, le loro creazioni, plasmate col
fuoco delle eruzioni, non pretendono compiacere gli umani, nonostante essi
usufruiranno del loro dono, delle loro creazioni.
I Vulcani, Giganti come quelli di Ischia.
Non rinuncio mai a contemplarli dal ponte del traghetto quando si
approssima a Procida.
Profilo schematico dell'isola d'Ischia, così come si ammira nei pressi di
Procida.
A est, dal blu sbuca un isolotto, un vulcanetto risalente a 130 ka, ricoperto
da arbusti e cespugli tra i quali fanno capolino le costruzioni del Castello Aragonese;
intanto, alle spalle del ponticello di pietra che corre su uno specchio di
acque cristalline, il rilievo si innalza gradualmente fino al duomo del Monte
Vezzi, sbucato tra un gruppetto di vulcani ca. 100 ka, per poi sprofondare,
disegnando una vasta depressione triangolare, il “Graben” di Ischia.
Il “Graben” di Ischia, la vasta depressione triangolare che divide l’isola
in due.
In basso la costa traccia un ampio promontorio, Punta Molino, formata dalla
lava emessa dal cratere dell’Arso (1301-2), occulto tra altri coni. Segue una
lunga striscia di sabbia, interrotta dal porto d’Ischia, per lunghi secoli un
lago vulcanico (vedi dopo);
a sua guardia si fronteggiano il Montagnone e il Rotaro, oggi maestosi e
rigogliosi come Castore e Polluce ma, in epoca greco-romana, devastatori e
implacabili. Sulle loro groppe si staglia il lungo e alto profilo dell’Epomeo, non
un vulcano (come erroneamente ritenuto per secoli) bensì un enorme blocco di
tufo verde, un horst vulcano-tettonico sollevatosi dall’enorme caldera (vedi dopo) che occupò il
centro dell’isola fino a ca. 30 ka. Più in là, nell’estremo più settentrionale
dell’isola, il rilievo si addolcisce interrotto soltanto dai promontori formati
dal duomo vulcanico di Monte Vico e dall’ampia e tozza colata di Zaro (6 ka).
Anche il settore opposto dell’isola è costellato da apparati vulcanici: il
Monte Barano, il Monte Cotto, Sant’Angelo, Campotese ecc. Più di 50. Giganti
alti come i Grattacieli. Giganti come il Titano Tifeo che, narra un mito, è imprigionato
nelle viscere dell’isola e, nel vano tentativo di liberarsi dalle catene, si
contorce e vomita fiamme scatenando in superficie terremoti ed eruzioni.
Modello Digitale del Terreno dell'isola d'Ischia. Permette di apprezzare
numerosi apparati vulcanici formatisi sul suo territorio.
Giganti che affondano le loro radici non nel cemento, come quelli di NY,
bensì nel magma. Magma che giace in un’enorme sacca sotterranea, una camera
vulcanica del tutto sui generis, in
quanto non è sferica, come quasi sempre accade, ma presenta prevalente sviluppo
orizzontale. Nel 1930 il vulcanologo svizzero Rittmann, il padre della
vulcanologia moderna in Europa, basandosi sulla sua forma la definì “laccolite”.
Decenni dopo, quando scrissi la tesi, tenendo conto delle specificità e
prerogative del “laccolite”, per primo definii Ischia un “campo
vulcanico” (Mattera, 1995).
Il “laccolite” così come lo ipotizzò Rittmann nel 1930.
Si tratta della principale prerogativa del vulcanismo ischitano, quella che
lo rende tanto esclusivo. Nella maggior parte dei vulcani presenti al mondo,
tra cui il Vesuvio e l’Etna, l’attività si sviluppa quasi sempre attraverso un’unica
bocca eruttiva (cratere) collegata alla camera magmatica da un singolo
condotto. A Ischia (ma attenzione, anche ai Campi Flegrei, altro “campo
vulcanico”), la camera magmatica è connessa alla superficie da una fitta rete
di piccoli condotti (e, quindi, non da uno solo) che tracciano all’esterno un
complesso sistema di faglie. Quando si verifica un’eruzione, il magma può
risalire attraverso uno o più di questi condotti e, raggiunta la superficie, a
seconda dei condotti in cui si è iniettato, formerà uno o più crateri, tutti
allineati lungo la stessa faglia. Al termine dell’eruzione, il magma che non è
riuscito a venire a giorno si solidificherà nel condotto (o nei condotti) e,
come un tappo, lo (li) sigillerà per sempre. Ecco perché a Ischia, così come ai
Campi Flegrei, ogni eruzione comporterà sempre la formazione di un nuovo apparato
vulcanico che, cessata l’attività, mai più ne darà luogo a un’altra.
Dicevamo vulcani sempre diversi non solo per dimensione ma, attenzione, anche
per tipologia. Sull’isola d’Ischia, infatti, nonostante la limitata estensione
del territorio, sono presenti quasi tutte le tipologie di apparati vulcanici
descritti nei manuali di vulcanologia. Qualcosa di quasi esclusivo, molto
difficile da trovare in altre aree vulcaniche del mondo.
Passiamole in rassegna:
Stratovulcani (o vulcani
a cono) come il Bosco della Maddalena (I sec. a. C.), una sorta di
Somma-Vesuvio in miniatura; di fatti, al pari di esso, il cono presenta fianchi
ripidi, costituiti dalla sovrapposizione di strati di lava solidificata depositatisi
durante la prevalente fase effusiva, interposti a livelli di pomici e ceneri emessi
duranti gli episodi esplosivi.
Duomi vulcanici come la Rocca del Castello Aragonese (>130
ka; vedi "La persistenza della Scarrupata" in questo stesso blog),
certo, ma anche come il Monte Vezzi (126 ka), il Monte Sant’Angelo (> 100
ka), il Monte Vico (75 ka), il Montagnone-Monte Maschiata (I sec. d.C.), Posta
Lubrano (I sec. d.C.) ecc. Furono originati da lave che, troppo viscose per scorrere
sulla superficie, si ammassarono su se stesse formando apparati dalla caratteristica
forma a duomo.
Coni di scorie come il cosiddetto Rotaro III (III sec.
d.C.), il semianfiteatro che si affaccia sul campo sportivo di Casamicciola, ma
anche i bastioni della Molara e Vatoliere (III sec. d.C.); si presentano come un
ripidissimo cono formato da brandelli di lava solidificata, spesso troncato da
un cratere da cui fuoriuscì una colata, come nel caso di quella dell’Arso.
Dicchi vulcanici come quello della Grotta del Mago. Una massa
di magma che ca. 20 ka si iniettò tra i depositi tufacei più fragili e,
sostituendoli, formò uno spesso e duro strato che costituisce il tetto della
Grotta. E, secondo Rittmann, anche quello che nell’età del Bronzo si sarebbe
formato in località Cafiero e avrebbe provocato la distruzione di un villaggio
osco che sorgeva a ridosso della fonte del Castiglione.
In alto: la Grotta di Terra.
In basso: sezione schematica della Grotta di Terra.
Lago Vulcanico come il citato Porto d’Ischia, il bordo
di un cratere di ca. 400 m che, immediatamente dopo l’eruzione (III sec. a.C.),
fu invaso dalle acque originando uno “stagno” (Plinio il Vecchio, Naturalis historia). Una dinamica del
tutto analoga a quella che portò alla formazione del più celebre Lago d’Averno,
attribuibile a un’eruzione avvenuta ca. 4000 anni fa.
Caldera, da non confondere con i più comuni
crateri, ovvero un’enorme depressione conica originata dallo sprofondamento
della camera magmatica a seguito di una violenta eruzione, probabilmente quella
del Tufo Verde (55 ka), una delle più violente del distretto vulcanico
napoletano (e non solo). Occupava il settore centrale dell’isola e oggi è parzialmente
riconoscibile nell’arcuato rilievo scandito da Monte Vezzi, Monte Barano e la
Guardiola.
Vulcani sottomarini come la Secca d’Ischia, un vasto apparato
vulcanico, un vero e proprio Gigante, che si erge sui fondali ischitani nei
pressi di Punta San Pancrazio. Dalla caratteristica forma tronco-conica, ha un
diametro di ben 2,5 km e versa in perfetto stato di conservazione. È facilmente
rilevabile con un comune sonar in quanto, in meno di 500 m, il fondale marino
risale da -300 m sino a -26 m. Ma, come indica la figura, sui fondali limitrofi a Ischia ci sono
tanti altri Giganti a fargli compagnia.
Distribuzione offshore dei
principali lineamenti vulcano-tettonici. Elaborazione da De Alteriis et al. [2006].
Dunque, l’isola d’Ischia, uno dei pochi campi vulcanici presenti al mondo,
è tempestata da numerosi vulcani, ascrivibili a quasi tutte le tipologie definite
in vulcanologia.
Qualcosa di davvero unico. Istintivo motivo di preoccupazione ma anche di
vanto…
E il pensiero ritorna a Rittmann, al vulcanologo svizzero che se ne innamorò.
“Il paradiso delle trachiti”, così definì quella che allora in tanti amavano chiamare
“l’Isola Verde”. Oggi di verde ne resta molto meno e la millenaria opera di
Tifeo viene sovente devastata da piccoli e grandi mostri di cemento, non certo
architetture in stile Liberty. Come sarebbe bello se anche l’isola divenisse un
parco. Ma non di quelli all’italiana, bensì come quello di Yellowstone. Un’estensione
enorme, ca. 9.000 km2 (il territorio della Basilicata), e non ci trovi una cicca di sigarette
manco a pagarla oro; solo punti di informazione e librerie, store attrezzatissimi, bisonti e alci
che scorazzano a loro piacimento e turisti a frotte (ca. quattro milioni
all’anno). Ci vanno solo ed esclusivamente per vedere le infinite
manifestazioni del supervulcano. Pur nel suo piccolo, a Ischia, oltre a visitare
i vulcani, potrebbero anche venirci per il mare e i parchi termali.
In alto e in basso: Il Parco di Yellowstone. Fondato nel 1872, è il più antico del mondo e,
nonostante riceva oltre 4 milioni di persone all’anno, uno dei più grandi
ecosistemi intatti della zona temperata.
I vulcani di Ischia sono unici come alcuni grattacieli di NY. Sfidano le
leggi della fisica. Sono creazioni della Natura. Sono arte. Inestimabili
capolavori esposti in un Museo esclusivo. L’isola di Tifeo.
Perché il Titano, spezzate le catene come l’Artista e lo Scienziato, ha
un’unica ragione di essere… Creare…
Abbuiare il Sole tra smisurate colonne di ceneri e bombe. Illuminare le
buie notti con fontane e fiumi di lava incandescente. Scolpire rilievi e picchi.
Elevare massi fino a convertirli in montagne verdi come l’erba. Modellare
insenature e promontori. Formare cupi laghi che esalano vapori mortali come l’Averno,
la Porta degli Inferi. Seppellire le devastazioni degli umani sotto un enorme
manto che, da grigio e informe, si coprirà di fiori e alberi, di vita.
Dall’Arsa bocca contempla l’eterno cadenzato rincorrersi degli astri nella
notte infinita, solo, ignaro del fatuo affaccendarsi dei mortali che, ai suoi
piedi, sfregiano la sua creazione, forgiata col rosso della Fucina.
La fucina di Vulcano di Diego Velázquez (1630). Museo del Prado, Madrid.
Bibliografia
De Alteriis G., Tonielli R.,
Passaro S., De Lauro M. (2006). Isole
flegree (Ischia e Procida). Liguori: Napoli.
Mattera M. (1995). Valutazione del Rischio
vulcanico nell'isola d'Ischia - Tesi di Laurea di M. Mattera,
Università degli Studi di Napoli.
Orsi G., Gallo G., Civetta
L. (1990). Evoluzione Geologica e
Magmatologica dell’Isola d’Ischia. Società Italiana di Mineralogia e
Petrologia. Convegno Autunnale, Ischia 15-18 ottobre. Guida all’escursione.
Rittmann A. (1930). Geologie der Insel Ischia. Zeitschrift fur
Vulkanologie, Vol. VI.
Cartografia: © Massimo Mattera
Fotografie: © Lucía Vigón Menéndez